Un nuovo studio potrebbe aprire una nuove frontiera nella comprensione della gravità quantistica
Le informazioni contenute all’interno dei buchi neri potrebbero essere rilevate toccando i loro “capelli”, secondo una nuova ricerca. I buchi neri sono oggetti celesti con una gravità così massiccia che nemmeno la luce può sfuggire alle loro grinfie una volta che attraversa l’orizzonte degli eventi, o il punto di non ritorno. I buchi neri racchiudono dei segreti al loro interno, segreti che potrebbero rivoluzionare completamente la nostra comprensione della fisica. Per decenni si è creduto che qualunque informazione o qualunque dettaglio finisse inghiottito all’interno di un buco nero potesse essere perso per sempre. Ma una nuova ricerca ha evidenziato come le increspature nello spazio-tempo o le onde gravitazionali possono trasportare delle tracce di queste informazioni nascoste rivelando la presenza di “peli” sottili sulla superficie di un buco nero.
Che fine fa ciò che viene inghiottito dai buchi neri?
I buchi neri sono oggetti molto complessi nella loro semplicità e possono essere descritti da tre e solo tre semplici elementi: carica, massa e rotazione. Ciò significa che due buchi neri della stessa identica dimensione, della stessa identica carica elettrica e che ruotassero esattamente alla stessa velocità, non si potrebbero distinguere tra loro. Tutte quelle preziose informazioni che finiscono all’interno dei due buchi neri che fine fanno? Sono persi per sempre? La soluzione più semplice è il teorema, coniato per la prima volta dal fisico americano John Wheeler, che “i buchi neri non hanno capelli” – non hanno informazioni aggiuntive codificate in essi o su di essi. Solo la loro massa, carica elettrica e spin. Tutto il resto viene semplicemente distrutto per sempre.
Le intuizioni di Stephen Hawking
Nel 1974, Stephen Hawking propose un’idea rivoluzionaria: i buchi neri non sono degli aspirapolvere cosmic ma piuttosto le particelle subatomiche potrebbero fuggire dai buchi neri attraverso un processo quantistico, che provocherebbe il rilascio di radiazioni dalle loro superfici. Nel tempo, questa radiazione di Hawking, come viene chiamata, farebbe sì che i buchi neri perdano lentamente energia (e quindi massa). Alla fine, dopo secoli di graduale perdita di energia, i buchi neri evaporerebbero completamente. Per quanto ne sappiamo ad oggi, le radiazioni di Hawking non portano via alcuna informazione ma non c’è motivo di pensare che le informazioni possano essere create o distrutte in questo universo. E da qui, il paradosso dell’informazione del buco nero. Le informazioni entrano in un buco nero, il buco nero scompare e non sappiamo cosa succede alle informazioni.
Come risolvere questo paradosso?
Per risolvere questo paradosso, dobbiamo correggere ciò che sappiamo sui buchi neri o correggere ciò che sappiamo sulle radiazioni di Hawking. Forse l’informazione rimane bloccata in profondità all’interno del buco nero o l’evaporazione si ferma appena prima di quel punto. O forse i buchi neri non sono del tutto “glabri”. E’ possibile che mantengano l’informazione su tutto ciò che è caduto in loro sulla loro superficie, contenuta in qualcosa chiamato “orizzonte allungato”, una superficie posta appena sopra l’orizzonte degli eventi, contenente informazioni di meccanica quantistica. Quando i buchi neri si dissolvono, la radiazione di Hawking portano via le informazioni contenute nell’orizzonte allungato, risolvendo il paradosso e preservando la nostra realtà così come la conosciamo.
Un nuovo studio, pubblicato il 22 giugno nel database arXiv ha ipotizzato un modo nuovo per trovare questi filamenti setosi: un rilevamento di onde gravitazionali. Quando i buchi neri si fondono, rilasciano una grande quantità di onde gravitazionali che si propagano in tutto il cosmo. Nonostante le incredibili energie di queste collisioni, le onde gravitazionali di queste rotture cosmiche sono eccezionalmente deboli. Quando queste onde si riversano sulla Terra, sono a malapena in grado di spingere i singoli atomi.
Grazie a LIGO, il Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory, un osservatorio che si estende su tutto il globo, è possibile rilevare quei movimenti sottili attraverso i piccoli cambiamenti nel tempo impiegato dalla luce per viaggiare da rilevatori lontani. LIGO ha osservato le conseguenze di dozzine di potenziali collisioni di buchi neri in tutto l’universo. Finora, quelle osservazioni sono coerenti con il “teorema dei capelli”, suggerendo che non ci sono informazioni aggiuntive codificate sulle superfici dei buchi neri.
Cosa accadrebbe se potessimo dimostrare la presenza di capelli sui buchi neri?
Ma c’è ancora una possibilità. Potrebbero esserci dei “piccoli peli”. Ovviamente i fisici vogliono testare questa idea, perché se potessimo dimostrare che i buchi neri hanno i capelli, non solo risolveremmo un grande enigma nella fisica moderna, ma probabilmente apriremmo la strada verso una migliore comprensione della gravità quantistica, o la teoria che lo farebbe conciliare la relatività generale con la meccanica quantistica, che descrive la realtà sulle scale più piccole. Lo studio curato da Lawrence Crowell dell’Alpha Institute for Advanced Studies di Budapest, in Ungheria e Christian Corda, un fisico dell’Università di Istanbul in Turchia, hanno scoperto che durante il processo di fusione, i capelli normalmente tranquilli possono eccitarsi. In questo stato energizzato, questi capelli si intrecciano con la radiazione gravitazionale in uscita, alterando quelle onde in modi sottili. Questi cambiamenti alle onde gravitazionali non possono ancora essere rilevati, ma le future versioni di LIGO potrebbero avere la sensibilità per farlo.
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