Come vennero scoperte le macchie solari e quali sono le nuove consapevolezze acquisite dagli scienziati
Il Sole è stato da sempre percepito dagli esseri umani come una fonte inesauribile di luce e calore, ma soprattutto una vera e propria fonte di vita. L’astrofisico americano George Ellery Hale divenne famoso per aver costruito il più grande telescopio a metà del XX secolo con il quale si è riuscito a capire che alcune aree del Sole sono altamente magnetiche, con campi migliaia di volte più forti di quelli della Terra. Questo magnetismo si concentra soprattutto nelle regioni oscure chiamate macchie solari.
Le osservazioni di Galilei
Nel XVII secolo, Galileo utilizzò il telescopio appena sviluppato per individuare l’esistenza di macchie nel sole. Osservò molte delle loro proprietà tra le quali anche la mutazione delle dimensioni nel tempo. Sebbene Galileo avesse condotto alcuni esperimenti con magneti sotto forma di magnetiti usati come rozze bussole, non comprese però che esiste una connessione con le macchie solari. Le macchie solari catturarono l’interesse degli astronomi che fruirono soprattutto dei progressi della scienza utilizzando nel tempo telescopi sempre più evoluti, con le quali riuscirono a studiare proprio le macchie solari.
La scoperta di Carrington
Per un lungo periodo di tempo gli astronomi non riuscirono a rilevarne la presenza, ma nel 1715, iniziarono misteriosamente ad apparire di nuovo. Nel periodo successivo, le macchie solari sono apparse e scomparse in un ciclo che sembra durare circa 11 anni, denominato ciclo solare, con il numero di macchie solari che varia tra zero e centinaia. Nel 1859, Richard Carrington, un ricco proprietario di una birreria e astronomo dilettante, riuscì ad individuare durante una sua prolungata osservazione, una “eruzione solare” che durò solo pochi minuti e che seguita, nei giorni successivi, da un’enorme tempesta aurorale e magnetica nota come Evento Carrington.
La relazione solare-terrestre
Fino ad allora non si era compresa realmente la connessione tra Sole e Terra. La scoperta del magnetismo solare da parte di Hale circa 50 anni dopo l’evento di Carrington, insieme alle registrazioni che mostravano che le aurore avevano un ciclo di 11 anni simile a quello del Sole, costituirono la base della nostra moderna comprensione della “relazione solare-terrestre”. Questa relazione si basa fondamentalmente sul magnetismo. Le macchie solari stesse immagazzinano energia magnetica; la sua pressione consente alle macchie solari di essere più fredde delle aree adiacenti della superficie luminosa del Sole o fotosfera, e quindi più scure.
Nelle giuste condizioni, l’energia magnetica può essere rilasciata in varie forme. I brillamenti di luce bianca come quelli visti da Carrington sono molto rari: più spesso l’energia magnetica viene convertita in raggi X. Se il magnetismo della regione attiva attorno alla macchia solare crea una nube di gas che raggiunge la Terra con una direzione magnetica opposta a quella scoperta da Gilbert nel 1600, l’energia può riversarsi anche in prossimità alla Terra. Questa energia è proprio quella che causa le aurore boreali. In questo momento, siamo a un picco inaspettatamente grande nel numero di macchie solari o quasi e si stima che siano molto elevate le probabilità di registrare ancora importanti tempeste magnetiche come quella di maggio 2024 almeno per un paio d’anni ancora.
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