Conti correnti, possono scattare i controlli dell'Agenzia Entrate se ci sono troppi prelievi al bancomat. I dettagli

I conti correnti possono essere soggetti a controlli da parte dell'Agenzia delle Entrate nel caso in cui vengano effettuati troppi prelievi al bancomat. Ecco i dettagli.

Agenzia delle Entrate, immagine di archivio. ANSA/LUCA ZENNARO. Fonte foto: ansa.it
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L'Agenzia delle Entrate può eseguire accertamenti sui conti correnti

L'Agenzia delle Entrate è in possesso di strumenti molto efficaci per rilevare redditi non dichiarati, tra cui spiccano i controlli sui conti bancari, una potente risorsa nella lotta contro l'evasione fiscale. Come riporta brocardi.it, il D.P.R. n. 600/1973 all'articolo 32, permette all'Amministrazione di sondare i rapporti finanziari dei contribuenti, introducendo specifiche presunzioni legali sui movimenti ingiustificati. Quando su un conto bancario risultano accreditate somme tramite bonifici, assegni o contanti che il contribuente non è capace di chiarire riguardo alla loro origine e natura, tali importi vengono automaticamente considerati come ricavi o proventi non dichiarati. Non conta a quale categoria appartiene il contribuente, che sia un lavoratore dipendente, un libero professionista o un pensionato, la responsabilità di fornire questa prova spetta a lui. Qualora non riesca a documentare in modo adeguato l'origine di tali somme, il Fisco le considererà tassabili, applicando le relative sanzioni.

Non sempre sono ricavi nascosti i prelievi ingiustificati

Cosa succede nel caso in cui, invece di focalizzarsi sugli accrediti, l'Agenzia delle Entrate osserva i prelievi in contante? La normativa stabilisce che, per gli imprenditori, i prelievi di denaro dal conto senza una giustificazione valida possano essere considerati un indizio di ricavi “in nero". Ciò accade perché si presume che tali importi vengano utilizzati per pagare fornitori o dipendenti “fuori bilancio", legati a vendite nascoste. Nonostante ciò, non tutti sono soggetti a questa presunzione. Soprattutto i professionisti e i lavoratori autonomi che operano in assenza di una vera struttura imprenditoriale non rientrano in questa logica, riservata invece a coloro che gestiscono un'attività economica in modo organizzato. Il motivo di questa distinzione è palese: chi produce o commercializza beni e servizi deve affrontare costi per l'acquisto di materie prime, prestazioni di terzi o forniture. In tale contesto, ogni prelievo in contante privo di giustificazione potrebbe celare un pagamento “in nero" riferito a costi legati all'attività produttiva. E proprio su questo meccanismo, in cui costi nascosti si traducano in ricavi non dichiarati, si fonda la presunzione: il denaro prelevato, se non tracciabile, diventa il campanello d'allarme di un guadagno non dichiarato.

Non c'è presunzione automatica per professionisti e autonomi, lo chiarisce una sentenza

Una sentenza pronunciata recentemente dalla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio (n. 1869/2025) ha fatto luce sui prelievi, che se non documentati ed eseguiti da autonomi o liberi professionisti, senza un'organizzazione aziendale strutturata, non possono essere automaticamente considerati come ricavi in nero. Ossia, per quelli che lavorano sfruttando le proprie capacità intellettuali o manuali, come artigiani, avvocati, agenti e consulenti, è scorretto applicare la formula “prelievi = compensi in nero". E' essenziale sottolineare che questa esclusione si applica anche ai soggetti il cui reddito, anche se classificato fiscalmente come reddito d'impresa ai sensi dell'articolo 55 del T.U.I.R., come nel caso degli agenti di commercio, non proviene da un'attività imprenditoriale, nel senso stretto del termine. Per quando concerne l'applicazione della presunzione legata ai prelievi bancari, non è la classificazione formale del reddito a costituire la differenze, ma piuttosto la reale natura dell'attività svolta. In assenza di una struttura organizzata e quando il contributo personale risulta predominante, l'interessato non può venire assimilato a un imprenditore ai fini della presunzione, che dunque risulta inapplicabile.

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Perché i prelievi non sono sempre un problema per i professionisti

La ragione è palese: un versamenti rappresenta un'entrata ingiustificata, che potrebbe essere considerata come reddito, mentre un prelievo indica un'uscita. Per un'impresa, i prelievi possono essere associati a spese non documentate, mentre per i lavoratori autonomi, il denaro prelevato può essere destinato sia a spese personali che a costi professionali tracciabili. E' per questa ragione che il legislatore ha deciso di limitare la presunzione solo ai soggetti che generano reddito d'impresa tramite attività organizzate.

Conti correnti sotto osservazione: quale ruolo svolge l'Agenzia delle Entrate

E' necessario specificare che, seppur in assenza di presunzioni automatiche sui prelievi, i professionisti non sono esenti da controlli. L'Agenzia delle Entrate mantiene infatti il potere d'indagare e può compiere diverse azioni: come la verifica di eventuali versamenti non giustificati e l'utilizzo di strumenti induttivi e sintetici, come gli Indici Sintetici di Affidabilità Fiscale (ISA). Inoltre, l'Agenzia può eseguire controlli incrociati con clienti e fornitori, e avvalersi di accertamenti che si basano su elementi indiziari, ad esempio quando si riscontrano incongruenze tra il reddito dichiarato e lo stile di vita del contribuente.

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Carmine Orlando

Classe 1971, da oltre un decennio svolgo il lavoro di redattore web. Ho collaborato con molti siti ed essendo una persona poliedrica mi sono occupato di svariati argomenti, dall'astrologia alla salute, dalla politica al fisco, dalla tv allo sport. Ma mi diletto anche nella stesura di articoli di terremoti, astronomia, cronaca, tecnologie e lotterie. Adoro scrivere ma anche leggere.