E’ ancora la categoria delle persone nate nel 1960 quella penalizzata dalle nuove riforme: ecco il motivo
L’attuale sistema previdenziale calibrato anche sull’esigenza di tenere i conti in ordine e tenere a freno la spesa pensionistica, di certo sta penalizzando una determinata categoria di soggetti, che probabilmente saranno costretti a lavorare più a lungo per godersi il meritato riposo. Stiamo parlando delle persone nate nel 1960, che sono stati ampiamente penalizzati dalle nuove regole di uscita dal mondo del lavoro anche in relazione al fatto che l’aspettativa di vita si sta allungando sempre più e i conti dell’Inps fanno fatica a quadrare.
L’allarme lanciato dalla CGIL
Le nuove norme stanno mettendo a rischio anche la possibilità di andare in pensione a 67 anni come ha avuto modo di spiegare la CGIL che ha lanciato in questi giorni l’allarme sottolineando come sarebbe già certo un aumento di 3 mesi nel 2027 per poter lasciare il lavoro. Questi dati si basano sui calcoli scaturiti dal simulatore INPS sulla pensione futura che avrebbero evidenziato un inasprimento dei criteri e dei requisiti per andare in pensione.
L’inasprimento dei requisiti
Nonostante le smentite giunte dall’Inps, probabilmente non basteranno più 67 anni di età per andare in pensione nel 2027. La classe di età penalizzata sarà proprio quella dei lavoratori nati nel 1960. Come ha sottolineato la Cgil, dal 2027 non saranno più sufficienti 67 anni di età per andare in pensione ma occorrerà attendere altri tre mesi a differenza dei nati nel 1958 che andranno in pensione nel 2025, con 20 anni tondi di contributi versati. L’inasprimento dei requisiti sarebbe dettato proprio dall’aumento dell’aspettativa di vita media degli italiani che si stima possa salire nel 2027. Si passerà, dunque, dagli attuali 67 anni a 67,2 o 67,3 anni di età.
L’accanimento contro i nati nel 1960
L’inasprimento dei requisiti avrà una ricaduta anche sulle pensioni anticipate ordinarie distaccate dai requisiti anagrafici che da 42,10 anni di contributi per gli uomini balzeranno a 43,1 anni. Di conseguenza ci sarà un impatto anche per quanto concerne le pensioni anticipate contributive che balzeranno a 64,2 o 64,3 anni. Il dato che emerge inconfutabilmente è l’ennesima penalizzazione che coinvolge i nati nel 1960 che anche questa volta, come già altre volte in passato, finiranno per pagare dazio. Basta ricordare la famosa quota 100 voluta dal governo Conte i cui benefici si applicarono solo fino ai nati nel 1959 e che non venne estesa ai nati nel 1960. Quella misura durò dal 2019 al 2021 e permise ai lavoratori di andare in pensione a 62 anni di età e 38 di contributi.
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