Col redditometro il fisco controllerà in modo capillare il tenore di vita del contribuente per confrontarlo con i redditi dichiarati
Il nuovo decreto ministeriale del 7 maggio 2024, ha riattivato il redditometro, lo strumento che consentirà al fisco di poter controllare e accertare che i contribuenti abbiano dichiarato il vero e che non vi siano incongruenze tra le cifre dichiarate e le spese effettuate durante l’anno di riferimento. Una sorta di sistema “anti-evasione” che era stato già applicato negli anni passati e che venne messo al bando dal governo Conte 1 nel 2018 con il decreto legge numero 87 del 12 luglio.
Cosa contiene il nuovo decreto
Dopo sei anni è stato approvato un nuovo decreto che reintroduce questo strumento che dovrà valuatare “il contenuto induttivo degli elementi indicativi di capacità contributiva” sulla base del quale “può essere fondata la determinazione sintetica del reddito complessivo delle persone fisiche”. Attraverso il redditometro, il fisco potrà valutare in modo certosino la capacità di spesa dei contribuenti per risalire ai loro redditi.
Le spese incluse nella lista
Verranno individuate le eventuali discrepanze tra il reddito reale e quello dichiarato. E’ stata stilata, nell’apposito decreto, la lunga lista delle spese che finiranno nella lente di ingrandimento del fisco, Nella lista compaiono, tra le altre spese effettuate dal contribuente anche alimentari e bevande, mutuo, affitto, canone leasing immobiliare, utenze, spese per la casa, medicinali e visite mediche, pezzi di ricambio auto, trasporto pubblico, spese per acquisto dispositivi telefonici, libri, giochi online, cavalli, attività sportive pasti e consumazioni fuori casa, etc.
Cosa accade se i dati non sono sufficienti
Un elenco di spese sterminato che copre praticamente tutte le esigenze quotidiane dei consumatori. Nel caso i dati presenti nel sistema non dovessero risultare esaustivi per risalire al reddito effettivo del contribuente, il fisco potrà fare una stima presunta delle spese ricavata dall’indagine annuale dell’Istat per conseguire uno “standard di vita minimamente accettabile”. Sarà poi il contribuente a dover smentire eventualmente i dati fornendo la prova oggettiva delle reali spese sostenute con documenti che ne comprovino l’avvenuto passaggio di denaro.
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