Coronavirus, lockdown di due settimane o “stop and go” per tutto il 2021? Gli scenari possibili in Italia
Il coronavirus continua ad affliggere l’Italia e la comparsa delle nuova varianti inglese e brasiliana sta destando non poca preoccupazione tra i cittadini: in particolare la mutazione britannica, più contagiosa dell’80% rispetto alla versione “classica” del COVID-19, si sta insinuando con pericolosità nelle nostre regioni, provocando una nuova impennata di casi e di ricoveri in terapia intensiva. Il Governo si trova ora di fronte a un vero e proprio bivio riguardo le modalità di contrasto della pandemia (se si deciderà di bypassare le zone rosse territoriali): attuare un lockdown nazionale di due settimane o, in alternativa, affidarsi a continui “stop and go” per tutto il 2021, dato il ritardo nella campagna di vaccinazione e le difficoltà che si stanno incontrando nell’ottenere l’immunità di gregge. Ad intervenire sull’argomento è stato Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione Gimbe, che ai microfoni di Radio Cusano Campus si è mostrato favorevole ad una delle due ipotesi. L’ALLARME DEL PROFESSOR BASSETTI: “ECCO QUANDO ARRIVERÁ LA TERZA ONDATA”
Le parole di Nino Cartabellotta della Fondazione Gimbe
Cartabellotta si è dichiarato favorevole al lockdown netto per due settimane, in modo da fare gli ultimi sacrifici per poi ripartire davvero. “Dobbiamo decidere – ha detto – se siamo disponibili ad accettare una restrizione maggiore per abbassare la curva, oppure se accettiamo di avere un 2021 che andrà avanti con stop and go”. “La somministrazione del vaccino – ha proseguito – difficilmente risolverà ell’immediato la situazione, soprattutto per la presenza delle nuove varianti. Non si sa quanto questi antidoti saranno in grado di resistere ai vaccini. L’obiettivo è far circolare il virus il meno possibile per abbassare il carico sugli ospedali e il lockdown è l’unico modo per fare tutto ciò”. IMPIANTI SCIISTICI ANCORA CHIUSI: ECCO COSA SUCCEDE ORA
Il bollettino di lunedì 15 febbraio 2021
Nelle ultime 24 ore (lunedì 15 febbraio 2021) sono stati 7.351 i nuovi casi di coronavirus registrati in Italia, mentre ieri erano stati 11.068. I tamponi effettuati sono 179.278, contro i 205.642 del giorno prima. Nel conteggio, da qualche settimana, rientrano anche i test antigenici rapidi. La percentuale di positivi considerando il totale dei tamponi è al 4,1% (ieri 5,3%), ma il dato è influenzato dal conteggio dei test antigienici rapidi che si sommano a quelli molecolari. Sono 258 i morti e quattro le persone in più ricoverate in terapia intensiva. È questo il quadro che emerge dal bollettino del Ministero della Salute. IL VIROLOGO CRISANTI: “SERVE LOCKDOWN DURO PER ARGINARE LE VARIANTI ED EVITARE DISASTRI”
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Almeno un familiare accanto ai ricoverati in ospedale: ecco chi può avvalersi. La mozione approvata dal Comitato Bioetica
Il coronavirus sta continuando ad affliggere l’Italia e l’avvento delle nuove varianti inglese e brasiliana sta destando preoccupazione in tutto il Paese: il rischio, infatti, è che le due mutazioni del COVID-19 inducano il nuovo Governo ad imporre nuove restrizioni per i cittadini, al fine di scongiurare una nuova crisi sanitaria. Ma in tutto questo marasma c’è un altro aspetto, spesso trascurato, da considerare: la salute mentale di chi, una volta trovato positivo al coronavirus, viene ricoverato in ospedale ed è costretto a rimanere in isolamento per giorni mentre viene curato dal “nemico invisibile”. Come fare per rendere meno sole queste persone? Ci ha pensato il Comitato Nazionale per la Bioetica che, come riportato da Quotidiano Sanita.it, ha approvato una mozione speciale che riguarda i soggetti terminali o più a rischio.
L’idea del Comitato Bioetico
La mozione approvata dal Comitato Bioetica acconsente alla presenza di un familiare, o almeno di una persona di fiducia, al fianco di soggetti positivi al COVID-19 nelle situazioni più gravi, nelle fasi terminali o in condizioni di particolari fragilità. Il tutto, ovviamente, nel massimo rispetto del distanziamento e dell’obbligo di mascherina per tutto il tempo in cui ci si trova in presenza del familiare o del carissimo amico malato di coronavirus. “Gli orientamenti culturali presenti nella nostra società – recita la nota – sul significato del ‘diritto alla cura’ e della ‘dignità del morire’ possono essere anche radicalmente differenti ma il morire in solitudine, quando non sia conseguenza di un’esplicita richiesta, è considerato sinonimo di sofferenza per chi muore ma anche per chi resta, a maggior ragione se impossibilitato ad accompagnare fino alla fine i propri cari”.
Laureato in Scienze Politiche e giornalista pubblicista, fin dai primi anni di liceo ho sempre coltivato la passione per la scrittura. Mi sono sempre occupato di scrivere notizie relative a tutto ciò che riguarda l'attualità. Esperto nel settore relativo alla salute e in quello scientifico-tecnologico, appassionato di cronaca meteo, geofisica e terremoti.