Covid, Tachipirina e vigile attesa, uno studio dimostra che questo protocollo non funziona
La ricerca pubblicata sul Journal of Medical Virology ha messo in evidenza le pecche del protocollo seguito dal Ministero della Salute
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La tachipirina ridurrebbe le scorte di glutatione peggiorando la situazione soprattutto negli anziani
Uno studio scientifico dimostra che l’assunzione di paracetamolo, componente della Tachipirina, nella prima fase del Covid-19 può determinare un peggioramento delle condizioni di salute del paziente. Uno dei primi sintomi della malattia però è l’aumento della temperatura che molti medici in osservanza delle Linee Guida del Ministero della Salute, contrastano consigliando l’assunzione di paracetamolo. Il mondo scientifico, perciò si interroga sulle possibili cure alternative nelle fasi iniziali del Covid-19 per ridurre il rischio di complicanze e accelerare il processo di guarigione. Da leggere anche Covid, ecco cosa succede al nostro corpo quando riceviamo la terza dose di vaccino
Gli studi sulle terapie anti Covid-19 per curare la malattia a casa
Alcuni esperti dell’Università di Pavia e di Verona hanno pubblicato una lettera sulla nota rivista scientifica, Journal of Medical Virology dalla quale emerge che nei pazienti anziani, curare i sintomi del Covid-19 con l’assunzione di Tachipirina è un grave errore. I professori Carmela Fimognari e Piero Sestili, infatti hanno dimostrato che il paracetamolo nella terza età comporta un consumo di glutatione (GSH) tale da indurre una risposta immunitaria all’infiammazione molto più debole. La Tachipirina, pertanto non si rivela un alleato nei casi di Covid-19 lieve, ma un pericolo e perciò potrebbe essere responsabile di un aggravamento dei sintomi con conseguenti ricoveri. Secondo un’ipotesi degli stessi scienziati anche il calo di glucosio-6-fosfato deidrogenasi potrebbe avere un ruolo primario nel precipitare della malattia, poiché indebolirebbe ulteriormente il paziente. Lo studio, perciò ha spinto medici e ricercatori a interrogarsi sul tipo di cura domiciliare da consigliare ai soggetti con una lieve sintomatologia.
Gli studi di Remuzzi e Suter
Il professor Fredy Suter, primario emerito dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo e il professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS hanno creato un algoritmo per ottenere la terapia più adatta per curare a casa i primi sintomi della malattia ed evitare l’insorgere di polmonite interstiziale. Dai loro studi si conferma che il paracetamolo è una delle possibili cause dell’esacerbazione della malattia, soprattutto negli anziani. Gli scienziati, inoltre sottolineano la validità di cure domiciliari tempestive poiché i ricoveri possono anche determinare un ulteriore peggioramento delle condizioni dei pazienti più fragili a causa delle infezioni contratte negli ospedali. Il professor Suter, pertanto consiglia l’utilizzo di anti-infiammatori non steroidei – FANS – per gestire i primi sintomi del Covid-19. CONTINUA A LEGGERE..
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Le cure domiciliari per gli anziani e le Linee Guida del Ministero
Le Linee Guida del Ministero della Salute aggiornate lo scorso 26 aprile 2021, inseriscono i farmaci anti-infiammatori non steroidei nella lista dei rimedi da somministrare nella prima fase della malattia. Il documento, tuttavia consiglia anche di adottare un “approccio di vigile attesa e paracetamolo" nei primi giorni. Sulla base delle ultime ricerche, però questo protocollo non si è rivelato il più adatto. La tempestività dell’intervento infatti è l ’unico strumento per evitare il peggioramento dei sintomi, soprattutto per gli anziani con comorbilità. La probabilità di essere ricoverati in terapia intensiva è infatti più alta del 65% per quei pazienti che non hanno ricevute cure adeguate in tempi brevi. Gli scienziati, pertanto chiedono che il Ministero adotti nuovi protocolli di terapie per gli anziani affetti da Covid-19.
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30 Settembre 2022 | ore 11:51