
Il rischio infarto è scritto nel DNA
Il rischio infarto? È scritto nel DNA: è quanto appurato da una ricerca made in Italy. A quanto pare, infatti, c’è una sorta di marchio specifico nel sangue di tutti coloro che sono a maggior rischio infarto. Lo studio, italiano, è stato pubblicato sulla rivista Plos One.
Ogni anno 70mila morti per infarto
Il documento in questione permette di individuare chi è più predisposto a rimanere vittima di un infarto e, quindi, di intervenire con urgenza in caso di necessità. Ogni anno l’infarto uccide circa 70mila persone in Italia ed è tra le principali cause di morte e disabilità. Quasi tutte le sindromi coronarie acute presentano una coronopatia sottostante, causata da un mix che comprende stili di vita ed eredarietà.
L’obiettivo dello studio
L’obiettivo principale dello studio, guidato da Giuseppe Novelli, rettore e direttore del laboratorio di Generica Medica del Policlinico di Tor Vergata, e da Francesco Romeo, direttore della Cardiologia dell’Università, era proprio comprendere la relazione tra le due variabili.
I pazienti coinvolti
Per effettuare lo studio sono stati coinvolti pazienti con malattia coronarica stabile, ovvero senza infarto, e altri con malattia coronarica instabile, ovvero con infarto, per identificare le varianti molecolari che funzionano come biomarcatori, che permettono quindi di individuare chi rischia di andare incontro a un evento acuto in un periodo di tempo relativamente veloce.
L’analisi dell’espressione dei piccoli messaggeri di RNA
È stata così analizzata l’espressione dei “piccoli messaggeri”, si legge su Tgcom24, di RNA non codificante circolante nel sangue: queste molecole hanno ruoli di regolazione dell’espressione genica e possono controllare alcuni processi biologici come la proliferazione cellulare, il metabolismo dei grassi e lo sviluppo di tumori.
I risultati dell’analisi molecolare
Tramite l’analisi molecolare è stato identificato il comportamento anomalo di miR-423, che risultava avete valori molto bassi in pazienti con malattia coronarica subito dopo l’infarto rispetto a chi aveva la malattia coronarica stabile. Questo, fanno sapere gli studiosi, indica che la sua espressione è specifica e indicativa dell’evento acuto. Ciò consente di individuare, in un gruppo di soggetti a rischio, quelli maggiormente esposti al pericolo infarto e che necessitano interventi terapeutici e preventivi immediati.
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