Perchè alcune persone non hanno mai preso il Covid? Ecco lo studio che spiega il motivo

Gli scienziati hanno scoperto il motivo per cui non tutti i volontari esposti alla stessa dose di virus non sono risultati positivi al COVID

In una foto d'archivio, un operatore sanitario controlla un tampone rapido, 5 agosto 2022. Sono 38.219 i nuovi contagi da Covid registrati nelle ultime 24 ore, secondo i dati del ministero della Salute. Ieri i contagiati erano stati 42.976. Le vittime sono 175, in aumento rispetto alle 161 di ieri. Il tasso è 17%, stabile rispetto al 17,7% di ieri. Sono stati eseguiti in tutto, tra antigenici e molecolari, 223.852 tamponi. ANSA/ALESSANDRO DI MARCO
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Una equipe di scienziati inglese ha scoperto il gene che protegge le persone che sono immuni dal Covid

Durante tutta la pandemia, una delle domande chiave nella mente di tutti era perché alcune persone non hanno mai contratto il COVID, mentre altre lo hanno contratto anche più volte in poco tempo. Attraverso una collaborazione tra l'University College di Londra, il Wellcome Sanger Institute e l'Imperial College di Londra nel Regno Unito, si è provato a rispondere a questa domanda effettuando un “challenge trial" che ha visto protagonisti alcuni volontari che sono stati deliberatamente esposti al SARS-CoV-2 , il virus che causa il COVID, in modo che potesse essere studiata la ragione per la quale molte persone non contraggono il virus.

Come si è svolto il test

Le persone testate sono volontari sani non vaccinati senza precedenti di COVID che sono stati esposti ad una dose estremamente bassa del ceppo originale di SARS-CoV-2. I volontari sono stati poi attentamente monitorati in un’unità di quarantena, con test regolari e prelievo di campioni per studiare la loro risposta al virus in un ambiente altamente controllato e sicuro. L'esito di questo studio che ha dato risultati molto interessanti è stato pubblicato su Nature. La ricerca è stata effettuata mediante la raccolta di campioni di tessuto situato a metà strada tra il naso e la gola, nonché campioni di sangue di 16 volontari. Questi campioni sono stati prelevati prima che i partecipanti fossero esposti al virus, per darci una misurazione di base, e successivamente a intervalli regolari.I campioni sono stati poi elaborati e analizzati utilizzando la tecnologia di sequenziamento di singole cellule, che ha consentito agli scienziati di estrarre e sequenziare il materiale genetico delle singole cellule. Utilizzando questa tecnologia all’avanguardia, è stata poi monitorata l’evoluzione della malattia.

Come è stato condotto lo studio

Con grande sorpresa, gli scienziati hanno scoperto che, nonostante tutti i volontari siano stati accuratamente esposti alla stessa identica dose di virus nello stesso modo, non tutti sono risultati positivi al COVID. Lo studio è stato effettuato suddividendo i volontari in tre distinti gruppi di infezione. Sei dei 16 volontari hanno sviluppato il tipico COVID lieve, risultando positivi per diversi giorni con sintomi simili al raffreddore. Dei dieci volontari che non hanno sviluppato un’infezione prolungata, tre hanno sviluppato un’infezione “intermedia” con test virali singoli positivi intermittenti e sintomi limitati. Gli ultimi sette volontari sono rimasti negativi ai test e non hanno sviluppato alcun sintomo. Questo gruppo è stato denominato “gruppo di infezione abortiva”.


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Cosa si è scoperto

Si è scoperto che i volontari infettati temporaneamente in cui il virus è stato rilevato solo brevemente, è stato osservato un forte e immediato accumulo di cellule immunitarie nel naso un giorno dopo l’infezione. Chi ha invece manifestato una infezione prolungata, dove è stata osservata una risposta più ritardata, a partire da cinque giorni dopo l’infezione e consentendo potenzialmente al virus di prendere piede in questi volontari. In queste persone, è stata evidenziata la presenza di cellule stimolate da una risposta di difesa antivirale chiave sia nel naso che nel sangue. Questa risposta, chiamata risposta “interferone”, è uno dei modi in cui il nostro corpo segnala al nostro sistema immunitario di aiutarlo a combattere virus e altre infezioni. Questa risposta immunitaria è stata rilevata nel sangue prima di essere rilevata nel naso. Questo dimostrerebbe che la risposta immunitaria si diffonde dal naso molto rapidamente.

Coloro che invece non hanno sviluppato l'infezione godrebbero della presenza di un gene protettivo, chiamato HLA-DQA2, espresso a un livello molto più elevato nei volontari che non avevano sviluppato un’infezione prolungata e potrebbe quindi essere utilizzato come indicatore di protezione. Questo studio ha offerto un quadro molto più dettagliato di come i nostri corpi reagiscono a un nuovo virus, in particolare nei primi due giorni di infezione. I risultati avrebbero implicazioni significative per i trattamenti futuri e lo sviluppo di vaccini. Confrontando i nostri dati tra volontari che non sono mai stati esposti al virus e coloro che già hanno l’immunità, potremmo essere in grado di identificare nuovi modi per proteggere i pazienti, aiutando allo stesso tempo lo sviluppo di vaccini più efficaci per le future pandemie.

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Marco Antonio Tringali

Coltivo da anni la passione per la scrittura e per i social network. La ricerca della verità, purchè animata da onestà intellettuale, è una delle mie sfide. Scrivo da diversi anni per importanti siti di informazione che mi danno l'opportunità di dare sfogo alla mia passione innata per il giornalismo.